Comunicazione equa per un futuro senza stereotipi di genere
La questione del linguaggio inclusivo è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, suscitando reazioni diverse. Alcuni rifiutano categoricamente di utilizzare forme linguistiche inclusive, mentre altri vedono gli asterischi come un’alterazione della nostra lingua. C’è chi sostiene che il cambiamento non porterà un miglioramento significativo nel mondo e chi invece crede che le parole abbiano un potere straordinario nel superare le barriere. Mentre il dibattito si fa sempre più acceso, prendiamoci un momento per esaminare il linguaggio inclusivo e come può contribuire a combattere gli stereotipi di genere.
Cominciamo con una domanda fondamentale: quando parliamo, siamo veramente inclusivi? La risposta è no, e la ragione è evidente nella domanda stessa, che privilegia il maschile e finisce per escludere involontariamente il femminile. Questo accade perché l’italiano è una lingua flessiva, con due generi grammaticali, maschile e femminile. Per noi, come per altre lingue romanze, che declinano le parole per genere – pronomi, articoli, sostantivi, e così via – parlare in modo neutro è più complicato rispetto alle lingue isolate, come il cinese, dove “Mao” può rappresentare sia un gatto maschio che una gatta o addirittura gatti. Ad esempio, per descrivere un gruppo di persone di generi diversi, la forma al maschile prevale sempre a causa della regola grammaticale del maschile sovraesteso o generalizzato. In altre parole, un saluto come “buongiorno ragazzi” non esclude la presenza di persone di sesso femminile, mentre “buongiorno ragazze” suggerisce esclusivamente la presenza di donne. Questo ci porta alla conclusione che, anche se involontariamente, la nostra lingua perpetua gli stereotipi di genere.
La prima strategia nel tentativo di cambiare la lingua è lo sdoppiamento, che prevede l’utilizzo di entrambi i sessi. Ad esempio, “signori e signore” all’inizio di uno spettacolo o “cari colleghi e care colleghe” in una mail aziendale standard. Anche se rappresenta un passo avanti, questa soluzione finisce comunque per escludere chi non si identifica con una logica binaria di genere.
Questa esclusione ha spinto alla ricerca di alternative. Alcuni suggeriscono di adottare il genere neutro, come già fatto in passato con il latino. Tuttavia, è importante notare che il genere neutro latino era principalmente utilizzato per oggetti inanimati, con rare eccezioni, e nel corso del tempo è stato gradualmente abbandonato con la perdita delle declinazioni. La nostra lingua è cambiata, e il ritorno al genere neutro latino potrebbe non essere una soluzione praticabile.

Nella competizione per trovare una soluzione, i simboli stanno guadagnando terreno. In risposta allo sdoppiamento, i simboli si introducono nella lingua come ornamenti che coprono il genere grammaticale e lo arricchiscono. Ad esempio, “cari colleghi” diventa “car* collegh*” e questa forma è accettata dai sostenitori del linguaggio gender neutral. Tuttavia, l’uso eccessivo di asterischi può generare critiche, e alcuni ritengono che sia un ostacolo per chi ha dislessia. Anche l’Accademia della Crusca critica l’uso degli asterischi, definendolo macchinoso e non sempre efficace.
Alcuni propongono l’uso dello schwa, un suono più dialettale, come alternativa ai simboli. Anche se lo schwa può sembrare una scelta più inclusiva, c’è chi sottolinea che il simbolo di origine ebraica non è comune nella nostra scrittura, non è sempre presente nelle tastiere dei cellulari e può essere di difficile pronuncia per alcuni. Questi sono tutti elementi da considerare.
Oltre ai confini italiani, altre lingue affrontano il dilemma del linguaggio inclusivo, ognuna con le proprie sfide. L’inglese è avvantaggiato perché i sostantivi, i verbi e gli aggettivi non hanno desinenze di genere. Una soluzione proposta è l’uso del pronome singolare “they/them” per includere chi non si identifica con una logica binaria di genere. Anche gli spagnoli hanno proposto l’uso di “@” e “x” per affrontare il problema del maschile generalizzato, mentre gli svedesi hanno introdotto il pronome neutro “hen” nel loro dizionario ufficiale.
Potremmo continuare a esplorare queste sfide per ore, ma ci limitiamo ai concetti fondamentali del linguaggio inclusivo per stimolare la riflessione. Non esiste una strada giusta o sbagliata in questa evoluzione linguistica, né una soluzione perfetta che soddisfi tutti. Quello che conta è l’azione, superare le barriere di genere e, come detto prima, trovare il proprio modo di contribuire. Non dobbiamo aspettare un verdetto finale per fare il primo passo. Sperimentiamo, correggiamo gli errori e continuiamo a provare. Anche solo il tentativo, imperfetto, è un importante traguardo verso il cambiamento.